Nel mondo c’è tanto bisogno di fare del bene e a volte, quando decidiamo di farlo, non sappiamo dove farlo.
Da una sollecitazione da parte della comunità di Canetra, raccolta durante il Convegno Giovani a Lovere (Bergamo), dal tema “@HOME, un posto dove stare”, un gruppo – eterogeneo e diverso per provenienza, sesso ed età – ha deciso di raggiungere Amatrice, località duramente colpita dal terremoto del 24 Agosto 2016, con l’intento di “fare casa” con coloro che purtroppo una casa non ce l’hanno più.
Vito, Giovanni, Federica, Alessandra, Roberta e Roberta, tutti di Bari e provincia, hanno fatto tappa provvisoria a Rieti (definito il centro d’Italia) per incontrare Giacomo, Emanuele, Chiara, Michela ed Elisa, provenienti da Desio, Monza. Il gruppo così formatosi, guidato da suor Sandra – direttrice del Collegio Universitario dell’Istituto Margherita di Bari – si è mosso in maniera compatta, a servizio della popolazione.
Non c’era bisogno di sollevare massi, di spostare macerie, ma solo di stare vicini ad una comunità ferita. Qualcuno ha perso una casa, qualcuno ha perso i suoi cari. Altri hanno perso la casa e i loro cari.
Terminata la fase di emergenza, nel corso di questi tre anni la maggior parte degli sfollati ha ottenuto un posto dove dormire, che siano i container o le S.A.E. (Soluzioni Abitative in Emergenza). Non è come riavere la propria casa, ma chi ha vissuto l’esperienza di un terremoto sicuramente sa adattarsi, senza lamentarsi più di tanto.
Mantenendo come unico punto di appoggio i container di Santa Giusta messi a disposizione dalla Caritas, i Volontari sono rimasti nella zona dal 10 al 17 Agosto. Un viaggio meraviglioso tra le frazioni di Amatrice (Colli, Scai, Sommati, Torrita), Accumuli e altri Comuni di Rieti. Alcuni ragazzi hanno collaborato all’interno dei centri estivi per bambini, altri hanno offerto ascolto alle persone che in prima persona hanno subito una perdita, materiale o affettiva. Compresi gli utenti della Casa di Riposo R.S.A. di Borbona (Rieti), i quali hanno manifestato la loro gioia nel condividere la giornata di Ferragosto con 12 volontari.
Raccontare quello che ognuno di loro ha vissuto ha rappresentato un modo per “vuotare il sacco”, sfogarsi, tirare fuori la propria rabbia, tristezza e delusione, e magari ricominciare a vivere. Sì, perché chi è sopravvissuto ha cominciato a vivere. Magari lontano da quella che era la propria casa, con un altro lavoro, con un altro stile di vita. Ma ognuno di loro ha trovato la forza di ricominciare.
Gli spazi di riflessione in gruppo in ogni giornata hanno aiutato a rileggere il “Terremoto” come richiamo alla necessità di rinnovare la propria vita, mantenendosi forti quando “trema la terra sotto ai piedi” e tutto intorno “crolla”. “Ognuno di noi ha il suo macigno”, dice don Tonino Bello. “Una pietra enorme, messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe allineate. Ognuna col suo sigillo di morte. Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi. E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo. Pasqua è la festa dei macigni rotolati”, conclude don Tonino Bello.
“Continueremo a portare nel cuore i volti delle persone incontrate – ha commentato uno dei volontari – sperando che la comunità di Amatrice possa trovare la forza di andare avanti”. Chi ha superato un dramma del genere, ha capito probabilmente quali sono le cose importanti nella vita! E forse lo hanno capito anche i volontari di Bari e Monza.